Uscimmo dal ristorante.
Era una serata di quelle estive, abbastanza calde da poter passeggiare senza coprirsi troppo ma fresche quanto basta per godersi una piacevole camminata tra le stradine della splendida città di Firenze.
Erano le 23.30 di un comune giovedì, avevamo da poco terminato la cena ed Emanuele mi aveva chiesto di accompagnarlo a fare due passi.
Lui era un appassionato dell’architettura fiorentina, sosteneva che la precisione dei dettagli e l’eleganza dello stile della città erano inimitabili.
Emanuele era un architetto incredibile, aveva realizzato delle vere e proprie opere d’arte a New York. Avevo cominciato a sentir parlare di lui il penultimo anno di Università. Avevo letto i suoi articoli sugli effetti della comunicazione architettonica moderna. Ne ero rimasta affascinata.
Negli ultimi anni aveva un po’ abbandonato il suo lavoro da “tecnico del settore” per iniziare ad insegnare all’università. Avevo trovato il modo di contattarlo, utilizzando i social e lui si era resa subito disponibile.
Era una persona molto stimata nell’ambiente e un abilissimo comunicatore. Quella sera, camminando fianco a fianco, con le mani che appena si sfioravano e gli sguardi un po’ intimiditi che non si incontravano mai ma si scrutavano, sentivo il cuore che mi batteva fortissimo.
Una sensazione così forte l’ho provata solo a 15 anni, quando conobbi Francesco. Mi sentivo emozionata e impacciata e non avevo più domande da fargli. Emanuele credo che percepì, da quel silenzio, il mio imbarazzo e così mi afferrò il braccio con molta delicatezza e mi disse: “Adele, senti è da un sacco che non vado al Parco delle Cascine? L’anno scorso sono stato un concerto bellissimo e mi è rimasto impresso. Ricordo di aver visto tantissime stelle…se ti va eh… non voglio farti fare tardi…”
Lo guardavo tra il sorpreso e il meravigliato. Non riuscivo a capire. Lui era sposato e mi stava proponendo di andare con lui, di notte, in un parco. Non sapevo cosa dire, sapevo di sicuro che se avessi accettato non sarebbe stato semplice uscire da quel parco senza ripercussioni emotive, ma la tentazione era troppo forte e così dissi: “…certo dai, andiamo… Ci sono stata proprio la sera prima del convegno, abbiamo ascoltato un concerto meraviglioso. L’ho trovato bellissimo anche io”.
Quei 10 minuti di camminata verso il parco sembrarono infiniti e i pensieri mi si affollarono in testa. Cosa sarebbe successo da lì a 10 minuti? Stava proprio per accadere quello che avevo sognato per anni e avevo sempre pensato che sarebbe stato impossibile.
Quell’uomo mi scuoteva l’anima, ogni volta che ci avevo parlato per telefono mi aveva fatto tornare indietro ai miei 15 anni e a quella timida ragazza che consumò la sua prima volta dietro un cespuglio in piscina…
Lui era incredibilmente affascinante, aveva una camminata sicura e posata. Il rumore dei suoi passi era l’unica cosa che sentivo in quel silenzio della città che dormiva beata. Penso che saranno state giusto due o tre le persone che abbiamo incontrato camminando ma nemmeno me ne resi conto…solitamente a me piaceva guardare i passanti negli occhi.
Poi arrivammo all’entrata del parco. Non avevo idea di quello che sarebbe successo. Emanuele mi accarezzò la spalla e poi mi prese la mano.
“Vieni, ti mosto l’Anfiteatro come non l’hai mai visto…”